Una recente ricerca pubblicata sulla rivista Biomolecules focalizza l’attenzione sugli effetti che alcune sostanze chimiche molto diffuse nella nostra vita quotidiana, con le quali entriamo facilmente in contatto o che ingeriamo involontariamente, possono esercitare sull’incremento di peso con particolare riferimento al rapido e significativo aumento della prevalenza dell’obesità che negli ultimi quarant’anni si è osservato a livello globale.
L’aumento di peso dunque non dipenderebbe solo da stili di vita scorretti, da alimentazione inappropriata o da scarsa o assente attività fisica ma anche dall’esposizione a particolari sostanze chimiche definite “sostanze obesogene”.
Ma cosa sono queste sostanze e come agiscono?
Le sostanze obesogene sono costituite da molecole chimiche in grado di alterare la funzionalità del sistema endocrino (interferenti), contribuendo allo sviluppo di disturbi metabolici non solo negli individui che ne vengono a contatto ma anche nella loro progenie.
Queste sostanze hanno, infatti, la capacità di riprogrammare epigeneticamente i punti di regolazione geneticamente ereditati per il controllo del peso e della composizione corporea durante i periodi critici dello sviluppo: crescita fetale, primi anni di vita e pubertà.
Ll’ipotesi che una esposizione pre o peri-natale a sostanze obesogene possa determinare accumulo di tessuto adiposo ed incremento ponderale è stata già riportata in un lavoro del 2006 (Grun e Blumberg) nel quale attraverso l’impiego di modelli animali si è dimostrato come alcuni inquinanti ambientali (interferenti endocrini/obesogeni) siano in grado di favorire la differenziazione di cellule staminali in adipociti, nonché di aumentare il deposito di lipidi in ciascuna cellula adiposa. Sono inoltre in grado di alterare i processi endocrini che regolano non solo lo sviluppo del tessuto adiposo, ma anche lo stimolo della fame e della sazietà, la scelta degli alimenti, la spesa energetica a riposo ed il bilancio energetico.
Tra i principali interferenti endocrini figurano:
- Ftalati e Bisfenolo A, presenti nella plastica che riveste gli alimenti confezionati, con i loro effetti debolmente estrogenici e anti-androgenici.
- Glutammato monosodico, impiegato dall’industria alimentare per la preparazione di patatine, snack salati, cibi congelati e salse.
- Biossido di azoto , inquinante ambientale proveniente dalle combustioni nel settore dei trasporti, negli impianti industriali o negli inceneritori di rifiuti.
L’attuale epidemia di obesità e malattie metaboliche associate si correla quindi al fatto che un gran numero di soggetti predisposti attualmente vivono “immersi” in un ambiente “obesogenico” in cui abbondano gli interferenti endocrini.
L’esposizione a queste sostanze si può limitare sia attraverso interventi diretti sull’ambiente che modificando i comportamenti individuali.
L’U.E. si sta già muovendo, attraverso una serie di regolamenti specifici (come il REACH), volti alla valutazione e alla restrizione dell’impiego di sostanze chimiche, con il preciso scopo di sostituire quelle con maggiori criticità. Anche le normative si stanno aggiornando con lo sviluppo delle conoscenze scientifiche.
In attesa delle evoluzioni legislative i cittadini possono adottare, nella vita quotidiana, comportamenti responsabili e intelligenti come quelli proposti dal “decalogo” del progetto dell’ISS “Previeni” con benefici per la propria salute e quella dell’ambiente.
Fonte : Di Lei